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Fitodepurazione per strutture ricettive in ambienti rurali

Introduzione

Nelle aree rurali spesso risulta molto difficile organizzare una gestione delle acque reflue efficiente, sicura, con dei costi contenuti.

Il tessuto urbanistico delle zone rurali è costituito da piccoli centri urbani, da case sparse o insediamenti agricoli non dotati di impianto di trattamento delle acque.

Inoltre strutture ricettive quali rifugi, agriturismi, campeggi, ecc., oltre ad essere caratterizzati da un’utenza discontinua durante l’anno, sono collocati nella maggior parte dei casi, in luoghi suggestivi e affascinanti ma spesso isolati.

Tutto ciò comporta non pochi problemi nel campo del trattamento delle acque reflue.

Risulta difficile collettare tali strutture ad impianti di depurazione di acque reflue civili già esistenti.

Si ricorre allora in genere, dopo un primo pretrattamento, (attraverso fossa Imhoff, fosse settiche, degrassatori) o allo scarico diretto in un corso d’acqua superficiale se presente in zona o alla subirrigazione cioè all’immissione del liquame, tramite apposite tubazioni, direttamente sotto la superficie del terreno con conseguenze quali un possibile inquinamento delle acque superficiali e sotterranee.

Le tipologie impiantistiche tradizionali quali i sistemi a fanghi attivi, i filtri per colatori o i biorulli, etc non sono proponibili per utenze piccole e variabili, trattandosi di sistemi rigidi non in grado di affrontare le variazioni di carico idraulico e organico.

Per risolvere queste problematiche, ai fini della salvaguardia degli ambienti dove tali strutture sono collocate, una valida alternativa è costituita da tecnologie di depurazione naturali a basso impatto ambientale, prima fra tutte la fitodepurazione.

La fitodepurazione

La fitodepurazione è un processo naturale per depurare le acque reflue che sfrutta i processi di autodepurazione tipici delle aree umide.

L’etimologia della parola fitodepurazione (dal greco phito = pianta) può trarre in inganno nel far ritenere che siano le piante gli attori principali nei meccanismi di rimozione degli inquinanti.

In realtà le piante hanno il ruolo di favorire la creazione di microhabitat idonei alla crescita della flora microbica, vera protagonista della depurazione biologica.

Gli impianti di fitodepurazione vengono definiti a livello internazionale con il termine “costructed wetlands” che si riferisce a sistemi umidi costruiti artificialmente in modo tale da ottimizzare gli effetti della depurazione sulle acque reflue.

Il trattamento naturale dei reflui di scarico di origine domestica ha origini antiche.

A Roma, nel periodo imperiale, si usava scaricare la cloaca massima nelle paludi Pontine con il preciso scopo di sfruttarne il loro potere autodepurante.

In Cina ancora oggi è comune l’usanza millenaria di creare stagni di lagunaggio destinati alla itticoltura nei quali, al fine di incrementare la produzione ittica, vengono immessi periodicamente in quantità opportuna liquami domestici, contenenti un’ alta concentrazione di nutrienti (fosforo e azoto).

Le zone umide naturali sono caratterizzate da una estrema variabilità delle loro componenti funzionali.

È quindi praticamente impossibile prevedere le conseguenze dell’apporto di acque inquinate e la traslazione dei risultati da una zona geografica all’altra.

Sebbene si osservino significativi miglioramenti nella qualità delle acque reflue durante il loro scorrimento in zone umide naturali, non si possono quantificare in modo preciso le capacità di trattamento.

Le aree umide artificiali offrono invece un maggior grado di controllo, permettendo una precisa valutazione della loro efficacia sulla base della natura del substrato, delle tipologie vegetali e dei percorsi idraulici.

Oltre a ciò le zone umide artificiali offrono vantaggi addizionali rispetto a quelle naturali, come ad esempio la scelta del sito, la flessibilità nelle scelte di dimensionamento e nelle geometrie, e, più importante di tutto, il controllo dei flussi idraulici e dei tempi di ritenzione.

È per questo motivo che a partire dalla metà degli anni ’70 si sono sviluppate svariate esperienze di utilizzo pianificato e ben controllato del potere autodepurativo di alcune zone umide per il raggiungimento di precisi obiettivi di qualità delle acque e, soprattutto, di “ricostruzione” o “creazione” di sistemi umidi studiati proprio per il trattamento di acque reflue.

La tendenza è infatti stata quella di preservare le aree naturali esistenti e di progettare e costruire apposite aree umide per il trattamento depurativo.

L’applicazione delle constructed wetlands per il trattamento delle acque reflue rappresenta ormai una scelta ampiamente diffusa nella maggior parte d’Europa e del mondo.

Da più di vent’anni molteplici attività di ricerca sono state effettuate da Università ed Enti inglesi, danesi, tedeschi, austriaci, svizzeri, francesi, statunitensi, australiani, ecc.

La rapida diffusione di questa tecnica è legata alla possibilità di ottenere elevati standard qualitativi negli effluenti a costi di costruzione, e soprattutto di gestione, più bassi rispetto alle tecnologie tradizionali.

Aspetti normativi

Negli ultimi anni si è notevolmente accresciuto l'interesse per i sistemi naturali di depurazione che permettono di smaltire le acque reflue utilizzando gli stessi sistemi della natura.

Poiché i costi per la depurazione delle acque di scarico sono sempre più alti, gli impianti di fitodepurazione rappresentano un'alternativa che rispetta l'ambiente e si rivela anche economica.

Soprattutto in zone rurali in cui non è possibile l'allacciamento alla fognatura pubblica, le soluzioni proposte sono spesso onerose senza garantire un adeguato trattamento dei reflui e a volte inquinando anche le falde.

Le disposizioni di legge impongono, in presenza di fognatura pubblica, l'allacciamento obbligatorio.

In assenza di quest'ultima le acque di casa devono essere inviate alla fossa Imhoff e solo dopo possono essere scaricate in un fossato comunale limitrofo alla proprietà.

In assenza di fossato le acque, dopo la fossa Imhoff, non possono più essere disperse in un pozzo perdente (sistema pericoloso per l'inquinamento delle falde sotterranee) ma inviate in un pozzo a tenuta che dovrà essere svuotato quando necessario, da ditte specializzate, con costi facilmente immaginabili.

Vantaggi

Gli impianti di fitodepurazione presentano caratteristiche tali da renderli soluzioni a basso costo ed ad elevato potere depurante:

  • Costi minimi di costruzione
  • Ridotta e facile manutenzione che può essere eseguita da personale non specializzato
  • Fabbisogno minimo di superficie: 2–4 mq. per persona collegata
  • Creazione di un'area verde al posto di manufatti di cemento
  • Assenza di odori e insetti molesti
  • Possibilità di poter riutilizzare l'acqua depurata come fertirrigazione per innaffiare il giardino o come acqua non potabile all'interno della casa (cassetta del WC o per lavare la macchina)

Inoltre un impianto di fitodepurazione, rispetto ad un depuratore tradizionale, consente di consumare l'80% in meno di energia elettrica non dovendo utilizzare soffianti per l'ossigenazione.

Tipologie impiantistiche

Le tecniche di fitodepurazione esistenti possono essere classificate in base all’ecologia delle piante acquatiche utilizzate:

  • Sistemi a idrofite galleggianti (pleustofite)
  • Sistemi a idrofite radicate sommerse
  • Sistemi a macrofite radicate emergenti (elofite)
  • Sistemi a microfite (alghe unicellulari)

I sistemi di fitodepurazione a macrofite radicate emergenti possono essere poi suddivisi in base alla direzione di scorrimento dell’acqua in:

  1. Sistemi a flusso superficiale (FWS- Free water surface)

    Consistono in vasche o canali dove la superficie dell’acqua è esposta all’atmosfera ed il suolo, costantemente sommerso, costituisce il supporto per le radici delle piante.

    La loro costruzione prevede la realizzazione di bacini idrici e/o canalizzazioni aventi il più lungo percorso possibile in relazione alla geometria dell’area a disposizione e aventi una profondità dell’acqua, per favorire i processi biologici utili, dai 40 ai 60 cm.

    Sono più adatti per il trattamento terziario dei reflui a valle di sistemi a flusso sommerso o di fanghi attivi.

    L’ambiente in un sistema FWS è in genere aerobico vicino alla superficie dell’acqua e tende ad essere anossico fino a diventare anaerobico man mano che ci si avvicina al fondo.

    Il livello di aerazione raggiunto dipende da diversi fattori, alcuni controllabili (grado di miscelazione, stratificazione della colonna d’acqua, canalizzazioni, turbolenza, turn over, ecc.) altri non controllabili (temperatura, disponibilità e penetrazione della luce, velocità del vento, fauna).

    Nei FWS la colonna di acqua è a contatto con diverse parti della pianta, a seconda delle specie presenti;

    il film biologico si svilupperà quindi su tutte le superfici delle piante disponibili e questo sarà il meccanismo principale di rimozione degli inquinanti:

    la rimozione diretta di alcuni specifici inquinanti attraverso le radici è limitata solamente alle specie galleggianti o sommerse.

    La mineralizzazione dei nutrienti e di altri componenti a carico della macrofite radicate emergenti può avvenire solo quando tali sostanze si ripartiscono nel sedimento in prossimità delle radici.

  2. Sistemi a flusso sommerso (SSF- Subsurface Flow)

    In questi sistemi l’acqua scorre al di sotto della superficie e quindi non c’è un diretto contatto tra la colonna d’acqua e l’atmosfera.

    L’acqua scorre attraverso il medium di riempimento (ghiaia, sabbia, ecc.) in cui si trovano le radici delle piante radicate emergenti.

    Questi impianti stanno incontrando sempre più interesse rispetto ai FWS in virtù dell’aumento delle rese depurative a parità di superficie occupata.

    Sono sistemi particolarmente adatti e utili per il trattamento secondario di reflui provenienti da situazioni lontane dalla pubblica fognatura a valle di una fossa settica o fossa Imhoff e/o per il trattamento di acque grigie e meteoriche.

    A loro volta i sistemi a flusso sommerso si distinguono in:

    • Sistemi a flusso sommerso orizzontale (SSF-h) in cui l’acqua si depura in una o più vasche della profondità di 70-80 cm contenenti materiale inerte su cui si sviluppano le radici delle macrofite.

      Il flusso dell’acqua rimane costantemente al di sotto della superficie del medium e scorre in senso orizzontale grazie ad una leggera pendenza del fondo del letto.

      Il flusso è continuo e l’ambiente è saturo d’acqua, perciò sono sistemi misti che funzionano soprattutto in anaerobiosi.

    • Sistemi a flusso sommerso verticale (SSF-v) dove il refluo da trattare è immesso con carico alternato discontinuo e percola verticalmente in un filtro di materiali inerti profondo in genere 1 m in cui si sviluppano le radici delle macrofite.

      Sono sistemi prevalentemente aerobici.

L’ambiente interno al letto dei sistemi SSF-h risulta essere prevalentemente anaerobico.

Direttamente sulle radici e sui rizomi delle elofite tuttavia, si creano delle microzone ossidate, a cui aderisce il film batterico, che creano quindi microzone aerobiche che non si diffondono però lungo la colonna d’acqua.

Nei sistemi orizzontali prevarranno quindi processi di denitrificazione mentre in quelli verticali (SSF-v), in cui il carico discontinuo favorisce un richiamo di ossigeno dall’ambiente esterno al medium di riempimento, prevarranno i processi di nitrificazione.

I Sistemi SSF progettati correttamente possono essere molto affidabili.

Nei sistemi SSF-h incorrono spesso però problemi di intasamento che causano un corto circuito del flusso e un allagamento della superficie dei letti.

I problemi sono dovuti soprattutto a:

  1. insufficiente progettazione idraulica soprattutto nella fase di previsione delle quantità di reflui nella loro distribuzione temporale;
  2. insufficiente distribuzione del flusso in ingresso;
  3. scelta inappropriata della dimensione del medium di riempimento all’ingresso e/o nell’intero sistema.

Anche nei sistemi SSF-v si possono riscontrare sul lungo periodo problemi di intasamento, in questo caso dovuti soprattutto all’erronea scelta del medium di riempimento o della portata idraulica o, infine, del carico organico distribuito su unità di superficie nell’unità di tempo (superando i 25 gr COD/m2 per giorno si sono rilevati nelle esperienze tedesche ed austriache frequenti problemi di intasamento superficiale dovuto alla formazione di una crosta organica che può arrivare a diminuire di tre ordini di grandezza la quantità di ossigeno trasferita 30-40 cm al di sotto della superficie dei letti rispetto a letti non intasati, diminuendo di conseguenza le capacità ossidative caratteristiche dei sistemi verticali).

Esistono poi anche i sistemi multistadio che prevedono la combinazione delle tipologie sopra citate e i sistemi integrati o misti in cui le tecniche fitodepurative vengono affiancate ad impianti di depurazione tradizionali.

Fonti

  • https://www.comune.re.it/retecivica/urp/retecivi.nsf/PESIdDoc/4B81259D754869F4C1257826004522FD/$file/Manuale%20fitodepurazione.pdf
  • http://www.etabeta-ninfee.it/consigli/fitodepurazione/
  • http://www.altraofficina.it/cosaGiusta/acqua/documenti/fitodepurazione.doc
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