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L'ipotesi bioregionalista

Uno dei modi più appropriati per affrontare le tematiche della multiculturalità, della multietnicità è l'ipotesi bioregionalista. Il bioregionalismo è un modo di intendere il nostro vivere. E' uno stile nei rapporti con gli altri e nei confronti dell'ambiente in cui viviamo. Per noi, oggi, significa vivere qui, nel nostro piccolo territorio con gli occhi, la mente e il cuore aperti al pianeta terra, anzi all'intero cosmo. Per questo qaundo parliamo di bioregionalismo noi abbiamo in testa l'idea di un localismo cosmopolita. Bioregionalismo non è federalismo e tantomeno regionalismo. E' qualcosa di più. Quel "bio" in più è il riconoscere il valore vitale, universale di ogni luogo, di ogni piccolo territorio del nostro pianeta.

La bioregione è:

  • una realtà, un luogo in cui vivono e sono presenti le persone, giocando ognuno la propria parte insieme agli altri, con consapevolezza. E le persone si esprimono con le tradizioni, i riti, l'arte, i modi di abitare, le produzioni culturali, i costumi. E' quella che definirei la prospettiva etnica.
  • l'ambiente in cui per migliaia di anni sono convissute insieme componenti animali, vegetali e minerali. E' in altre parole la componente ecologica.
  • un territorio, cioè una catena montuosa, una vallata con le sue specifiche caratteristiche, un bacino creato da un fiume. E' quel che definiamo il punto di vista geografico.
  • una parlata, usati dai viventi, tramandata di generazione in generazione, arricchita da nuovi idiomi, studiata e formalizzata in alfabeto e grammatica. E' quella che definirei prospettiva socio-linguistica.

Quando gli uomini, aggregati in comunità, vivono in armonia con tutti gli altri, creando situazioni di reciproco equilibrio, ci troviamo in un ottica bioregionalista.

Bioregionalismo significa "ridivenire nativi", ritrovare cioè la dignità di porre al centro della nostra vita valori fondamentali come la solidarietà, la semploicità, il mutuo sostegno, l'arte del giocare, nel rispetto profondo di quelle realtà di cui siamo.

tratto da:http://lascintillasaluzzo.blogspot.it/2011/02/due-parole-sul-bioregionalismo.html

Il paradigma perfetto di un localismo sano, non razzista ma neppure scioccamente egualitarista, si può trovare nella seguente formula: è cittadino con pieni diritti chi si prende cura del luogo che abita. Non tutti i residenti possono dirsi veri cittadini se non hanno una coscienza di luogo e non la mettono in pratica con la partecipazione attiva alle decisioni. Patrioti della propria città, della propria valle, del proprio monte, della propria regione storica e naturale: ecco i buoni localisti. Chi si estrania come se ciò che lo circonda non lo riguardasse dovrebbe perdere, ad esempio, i diritti politici, mantenendo soltanto quelli civili e sociali. L’utopia concreta del progetto locale ricomincerebbe dall’esigenza di riappropriarsi del territorio, che spunta in ogni dove quando l’esigenza opposta, quella puramente economica (per esempio delle grandi opere come la Tav), minaccia l’autonomia e l’esistenza stessa delle poleis locali. Finora, è soltanto da contrasti violenti di questo tipo che è emersa per reazione la consapevolezza di vivere in piccole patrie. La svolta è trasformarla in proposta politica permanente. Qualche suggerimento in questa direzione ci viene dal bioregionalismo, ossia dal riconoscimento della presenza di bioregioni, ecosistemi territoriali delimitati da caratteristiche date dalla natura e dalla storia. Di qui la riorganizzazione amministrativa in senso bioregionale, con apposite unioni di Comuni; la tendenziale chiusura dei cicli dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia, dell’alimentazione all’interno delle unità bioregionali; un’economia il più possibile locale, basata su filiere circoscritte, su una mobilità ridotta al minimo e sul recupero e ripopolamento della campagna agricola.

Il partito della comunità locale c’è già, almeno in potenza. La sua base è costituita da contadini, artigiani, piccole e medie imprese non internazionalizzate e l’intera galassia sociale di coloro che avrebbero tutto da guadagnare da un abbandono della morsa globalizzatrice («piccoli agricoltori, allevatori, ortofrutticoltori che vendono direttamente, consumatori preoccupati, proprietari e impiegati di piccoli negozi, piccole banche e altre piccole finanziarie, gente che lavora in proprio, comunità religiose e gente di chiesa che hanno a cuore la tutela delle tradizioni e delle identità dei loro posti», Wendell Berry, Salvare la comunità, in A. Magnaghi, “Il progetto locale”, Bollati Boringhieri, 2011).

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