Page Content

La produzione finalizzata al profitto sta devastando la Terra

Le tematiche ambientali stanno emergendo con prepotenza. La qualità dell’ambiente interessa particolarmente le classi popolari che non possono andare a vivere in paradisi naturali, ma si devono tenere quello che trovano, per cui la crisi economica si manifesta anche come emergenza ambientale. Sentiamo dire: “L’umanità sta distruggendo il pianeta”. L’umanità, però, è costituita da più di sei miliardi di persone: sono tutte responsabili del degrado planetario, compresi il miliardo e passa di uomini e donne che soffrono la fame? E gli indigeni delle foreste distrutte, costretti a migrare nelle bidonvilles, sono responsabili della distruzione  del pianeta? Ecco allora che le analisi degli ambientalisti mostrano tutti i loro limiti (in buona o in cattiva fede): è l’umanità, in quanto tale, che sta distruggendo il pianeta o sono le industrie alimentari  che stanno disboscando per coltivare le palme per ricavare grassi a buon mercato; oppure per ottenere nuovi pascoli e nuove terre per produrre hamburger; è l’umanità che sta bucando i fondali marini per ottenere le ultime gocce di petrolio presenti, o che sfrutta le sabbie bituminose, senza alcun rispetto della vita marina? In realtà è la produzione finalizzata al profitto che sta devastando la Terra e gli effetti sono terribili: in poco più di duecento anni, un battito di ciglia per i tempi biologici, è scomparsa quasi la metà delle specie viventi, la peggiore estinzione di massa mai avvenuta sulla Terra; si sta assistendo alla più rapida variazione climatica mai registrata e nello stesso tempo, la produzione finalizzata al profitto, sta distruggendo tutti meccanismi di compensazione delle variazioni climatiche. Allora bisogna essere chiari: è il sistema di produzione finalizzato al profitto che è incompatibile con l’ambiente e, in prospettiva, va sostituito con un sistema che produca per soddisfare direttamente i bisogni umani. Questo è possibile, però, solo con il controllo sociale dei mezzi di produzione, qualcosa ancora mai pienamente realizzato. Il sistema di produzione finalizzato al profitto è quel metodo di produzione che si basa sulla trasformazione delle risorse naturali per ottenere delle merci da vendere per realizzare un guadagno economico. Alla fine del ciclo produttivo e di utilizzo la merce diventa “rifiuto”, qualcosa che in natura non esiste, così come in natura non ci sono i disoccupati, ma neanche il profitto. Lo smaltimento dei rifiuti si sta manifestando come la più grande contraddizione dell’economia basata sul profitto: solo la trasformazione delle materie prime può produrre profitto, per cui si producono volutamente merci poco durevoli per perpetuare il processo produttivo, ma in questo modo s’incrementa la quantità di rifiuti da smaltire con costi sociali e ambientali enormi. Nessuna comunità ha risolto pienamente lo smaltimento dei rifiuti, neanche i più civilizzati paesi nordici, che bruciano negli inceneritori i residui della raccolta differenziata, immettendo nell’aria chi sa che cosa, oppure inviano nei paesi del terzo mondo ciò che non riescono a smaltire. Così avviene che paesi depredati dalle risorse primarie per pochi spiccioli si ritrovino con tonnellate di rifiuti tecnologici serviti per produrre profitto, al danno si aggiunge la beffa. In realtà l’emergenza ambientale è solo un riflesso di una più profonda crisi strutturale del capitalismo e può essere risolta solo cambiando il sistema di produzione lineare con una”circolare” che imiti i processi naturali ed elimini la produzione dei rifiuti, ma questo è possibile solo se si produce per i bisogni e non per il profitto. Nella realtà fisica nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, è una legge fondamentale della fisica, non si capisce per quale ragione nell’economia questa legge non vale e l’uomo diventa capace di creare dal nulla. Chiaramente questo è impossibile, anche la ricchezza non si crea dal nulla ma si può solo trasferire, cosi le merci non si producono ma derivano dalla trasformazione dei beni naturali con l’aggiunta del lavoro umano e delle macchine. Siamo portati a pensare che gli unici in grado di produrre qualcosa sono gli imprenditori, tutti gli altri godono dalla ricchezza prodotta da loro. In realtà l’unico atto creativo è dovuto al lavoro dell’operaio che trasforma le merci e immette il proprio tempo, le sue energie nel prodotto finito; è da qui che proviene la ricchezza che mantiene l’intera società. Il sistema di produzione lineare si basa sulla specializzazione delle varie fasi del processo produttivo, sulle economie di scala e, soprattutto, sul trasferimento dei danni connessi con le attività umane sulla collettività. In questo modo i bilanci delle imprese possono essere più “leggeri”ed è possibile spuntare prezzi più bassi, per vendere più merci, intanto l’onere dello smaltimento dei rifiuti e del risanamento delle industrie dismesse ricade sulla collettività. La crisi economica attuale non ha soluzioni all’interno di questo quadro economico. Sono venute meno, infatti, le basi del sistema di produzione lineare, connesse al capitalismo. Le risorse primarie si stanno sempre più esaurendo. Il progresso tecnico permette di produrre sempre più merci con meno impiego di manodopera, ma ciò provoca l’aumento della disoccupazione (disoccupazione tecnologica). La sovrapproduzione determina un incremento dei rifiuti e l’aumento di spese di smaltimento. Il petrolio, su cui si basa tutta l’economia, è in via di esaurimento e costi di estrazione sono diventati proibitivi. L’acqua potabile sarà sempre meno disponibile e ciò sarà motivo di conflitti locali. I terreni coltivabili, per la prima volta dalla storia dell’umanità, sono insufficienti per sfamare la popolazione mondiale, perché gli alimenti vengono destinati alla alimentazione del bestiame e ai biocarburanti.

Finora i tentativi di creare un sistema socio-economico  diverso da quello capitalistico sono falliti, perché si sono utilizzati gli stessi processi produttivi e un’identica organizzazione economica, cioè il sistema di produzione lineare. Solo modificando l’intera struttura produttiva si può cambiare il nostro sistema socio-economico, adottando la trasformazione circolare delle risorse naturali, finalizzata al soddisfacimento dei bisogni  di tutti  i cittadini, con un controllo sociale dei mezzi di produzione; in questo modo si eliminerebbero tutti i difetti connessi alla produzione lineare delle merci. Su che cosa si basa la produzione circolare? Imitare ciò che avviene in natura da più di tre miliardi di anni, da quando esiste la vita sulla Terra, cioè il riutilizzo continuo delle stesse risorse, senza mai avere un prodotto finale inutilizzabile, eliminando del tutto la produzione dei rifiuti. Facciamo qualche esempio di produzione circolare delle merci: i fumi prodotti dalle centrali termoelettriche possono essere convogliati, dopo essere stati depurati, in bacini acquiferi per allevare le alghe da destinare alla produzione di mangimi per animali; le acque utilizzate per il raffreddamento possono essere utilizzate per l’irrigazione, i prodotti di scarto come inerti per le costruzioni. Alla fine del ciclo produttivo non rimane niente! Anche se non è più opportuno usare i combustibili fossili per produrre energia, si comprende come una centrale a carbone in questo modo diventerebbe realmente ecocompatibile. E che dire delle energie alternative? Solo dall’energia geotermica si potrebbe ottenere elettricità per i prossimi cinquemila anni, senza alcuna limitazione! Mentre se si coprissero i tetti di tutti gli edifici con pannelli fotovoltaici, si potrebbe ottenere energia per diecimila anni, senza impegnare il suolo agricolo!

Si potrebbero sostituire, da subito, i combustibili fossili eliminando alla radice il problema del riscaldamento climatico, anzi. L’energia elettrica in eccesso, prodotta da fonti inesauribili, potrebbe essere impiegata per produrre idrogeno dall’acqua da usare come combustibile! Perché queste soluzioni non sono attuate? Perché sono contrari ai principi della produzione lineare poiché prevedono pochi passaggi produttivi e porterebbero, se applicate in modo generalizzato, alla definitiva liberazione dei bisogni! E qui è necessario sfatare un’altra convinzione, che il profitto è il motore dello sviluppo umano; non è vero, la ricerca del profitto, spesso, impedisce le scelte tecniche migliori, quelle risolutive dei problemi. Perché si continuano a usare i combustibili fossili, pur sapendo che sono risorse limitate? Perché per il loro utilizzo sono necessari molti passaggi produttivi e in questo modo le possibilità di profitto sono molteplici. Inoltre, poiché i danni delle attività estrattive, di distribuzione e di utilizzo di queste fonti naturali, ricadono sulla collettività, il costo dell’energia è erroneamente inferiore di quelle alternative; se, però, si caricassero tutti gli oneri prima elencati, i bilanci sarebbero ben diversi.

Se tutta l’economia fosse organizzata su queste basi non si avrebbe il consumo di risorse naturali perché, in tutti i processi produttivi, sarebbero riutilizzate in modo ciclico le stesse risorse e una volta impostato l’intera struttura economica e produttiva si soddisferebbero i bisogni per sempre!

 Riusciremmo a immaginare una società senza rifiuti, senza discariche, senza inceneritori e dove tutti i bisogni (acqua, energia, cibo sano) fossero disponibili senza limitazioni? Non sono cose campate in aria, le tecnologie per applicare questi principi ci sono tutte e sono già state utilizzate su piccola scala, ci vuole solo una struttura sociale e politica idonee per la loro diffusione; in una società basata sul profitto, sarebbe impossibile una simile organizzazione economica e produttiva.

 Per gli economisti classici sarebbe impossibile immaginare un sistema economico basato sulla “crescita zero” della ricchezza, una cosa inaudita e utopistica! Vorrei chiedere, però, a questi personaggi: è realistico o ragionevole fondare l’intera struttura economica sull’ipotesi che le risorse naturali sono infinite e inesauribili? Tutti gli economisti presumono che si possa avere una crescita economica indefinita, come se si avesse a disposizione un numero infinito di pianeti simili alla Terra, ma poi accusano chi propone modelli produttivi alternativi di essere utopistici! Questo la dice lunga sul totale scollegamento dell’economia classica dalla realtà fisica

Solo liberando l’umanità dalla schiavitù del profitto, del lavoro salariato si potrà salvare il pianeta, non ci sono alternative.

Liberamente tratto da http://www.operaicontro.it

Previous -- Next