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Mente, pensiero e coscienza – l’ipotesi upanishadica

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upanishad
La mente è la facoltà umana più misteriosa, poiché non è semplicemente una parte fisica del corpo umano che permette un esame fisiologico preciso; non è che un attributo funzionale di tale parte. Lo studio della mente e la formulazione di teorie sul suo funzionamento sono sempre stati un obiettivo intellettuale preferito dell’uomo, fin da tempi antichissimi.
Celebri per l’antica saggezza che trascende l’esistenza fisica, le Upanishad (o Upaniṣad) presentano una serie molto coerente e razionale di concetti su mente, pensiero e coscienza nelle principali opere della tradizione, soprattutto in Praśna e Māṇḍūkya. Tuttavia, prima di raggiungere una corretta comprensione di questi concetti occorre acquisire una minima dimestichezza con la più grande e bella rivelazione delle Upanishad, l’asse sul quale ruota tutta la speculazione upanishadica: l’Atma (o Ātmā).
Secondo le Upanisahd, Atma è il principio immutabile, la sostanza immateriale alla base di questo universo materiale in continua trasformazione, la causa di tutte le cause.
L’Atma è SAT CHIT ᾹNANDA (सत् – चित् – आनन्द), ossia pura esistenza, pura coscienza e ininterrotta felicità.

SAT

SAT è ciò che non ha lo stato di non-esistenza (Bhagavadgītā 2.16). È Esistenza o Essere. Mentre tutto ciò che appare come un oggetto in questo universo ha un inizio e una fine, SAT è eterno. Gli oggetti materiali entrano in esistenza, permangono per qualche tempo e poi decadono nella non-esistenza (Bhagavadgītā 2.28). Cioè, la loro esistenza è limitata dal tempo e dallo spazio. Ogni essere o cosa deve la sua esistenza a qualcosa di già esistente. Quindi, l’esistenza in questo universo è solo una questione di cambiamento di nome e forma (Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad 1.4.7). Se seguiamo una cosa o un essere a ritroso nel tempo per tracciarne il momento di origine fondamentale, alla fine, passando per tutte le fasi della sua esistenza, raggiungeremo un punto in cui un ulteriore movimento all’indietro è impossibile. Raggiungiamo quindi il punto più sottile dell’esistenza, in cui non è presente alcuna sostanza materiale. Questo è il punto di pura esistenza. Pertanto la pura esistenza è l’origine di tutto ciò che esiste in qualsiasi forma o in qualsiasi nome. Questa pura esistenza è SAT, da cui tutto ha avuto origine. SAT è l’energia che sostiene tutte le esistenze e, negli esseri viventi, stimola l’impulso ad esistere (Chāndogya Upaniṣad 6.2.1, 6.10.1 e 6.10.2; Muṇḍaka Upaniṣad 1.1.6; Bhagavadgītā da 9.16 a 9.18 e 10.8 letto con 10.20). Atma è SAT. Come possono gli oggetti materiali emergere da una cosa puramente immateriale chiamato SAT? Questo è reso possibile dal conflitto degli opposti. Il mondo si basa sugli opposti. Gli opposti sono la chiave per l’esistenza materiale. Anche l’atomo esiste con forze opposte, i protoni e gli elettroni. La differenziazione in opposti è come la rappresentazione dello Zero in forma di combinazione di infiniti positivi e negativi degli stessi numeri, senza che lo Zero subisca alcun cambiamento. Lo Zero quindi non è affatto un mero vuoto, ma è ciò da cui gli infiniti emergono e ciò in cui essi vengono riassorbiti; lo Zero è uno stato di equilibrio. L’esistenza materiale si identifica strettamente con questo modello, e SAT rappresenta lo Zero. Allo stato di equilibrio, nulla è percepibile ai sensi, a causa della non-differenziazione in opposti. Al fine di rendere possibile l’esistenza materiale, gli opposti vengono scatenati e poi tenuti separati come entità distinte, senza reciproca fusione o cancellazione, da qualcosa chiamato la forza della creazione, che è l’energia dell’esistenza materiale. Così, questo mondo fenomenico è solo una rappresentazione transitoria o manifestazione dell’Ātmā che non è percepibile ai sensi.

CHIT

Il secondo aspetto di Atma è CHIT. CHIT è pura coscienza. CHIT non è semplicemente la coscienza di questo o quell’oggetto, è coscienza assoluta priva di confini fisici.
È CHIT che si manifesta come conoscenza. Quando si conosce una cosa, CHIT in quanto coscienza prende la forma e il nome di quella cosa. La spinta interiore per mostrare e affermare la propria esistenza è espressione della propria coscienza di sé. CHIT è ciò che fornisce l’energia per l’attivazione di tutte le facoltà di cognizione e di espressione; è una caratteristica esclusiva ed essenziale degli esseri viventi. Definisce la vita. Negli esseri viventi, è con l’aiuto di CHIT che le informazioni memorizzate nei geni vengono attivate, permettendo al seme o alla cellula di cresce nella forma particolare per ciascuna specie. Un chicco di grano germina e si trasforma solo in una pianta di grano; un embrione umano si sviluppa in un essere umano. Allo stesso modo, vari organi specializzati si sviluppano anche da una singola cellula grazie alle informazioni incorporate nel genoma ed espresse con l’aiuto della coscienza. Inoltre, ciò che vediamo nel comportamento di un vitello appena nato è la sua coscienza in azione; il vitello si dirige verso la mammella della madre e inizia a succhiare il latte dai capezzoli già pochi minuti dopo la sua nascita. Qui è puro istinto naturale che opera, istinto che non può venire dalla materia, ma è conoscenza di informazioni ereditarie tradotte in azione da CHIT. Così, ‘CHIT’ è parte integrante della nostra esistenza e promuove lo stimolo a conoscere ed esprimersi.

ᾹNANDA

La terza caratteristica di Ātmā è ᾹNANDA. Inconfutabilmente, tutti vogliono la felicità ininterrotta nella vita. È alla ricerca di questa felicità che spendiamo tutta la nostra vita. Cerchiamo di ottenere la felicità da molte cose. Una cosa che ci dà la felicità ora, può non darcela in un altro momento. Analogamente, qualcosa che ci dà felicità ora può non darla nello stesso momento a un’altra persona. Ciò significa che la felicità non risiede nelle cose, ma dentro di noi. Questa felicità interiore si chiama ‘Ānanda’ (beatitudine o felicità). Tutto ciò che sperimentiamo come felicità è solo una manifestazione di Ānanda all’interno di noi. Ānanda la causa principale di tutti i nostri propositi e di tutte le nostre azioni. Anche l’impulso all’esistenza e all’auto-espressione è causato dal desiderio di gioia, felicità, piacere. La Taittirīya Upaniṣad dice che Ānanda è l’involucro più profondo della totalità umana (capitoli 2 e 3). La Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad dichiara (1.4.3) che è per diletto che Ātmā si manifesta negli esseri.
In altre parole, la creazione è un gioco di Ātmā.

Così, Atma è SAT–CHIT–ĀNANDA o ‘Esistenza-Coscienza-Beatitudine. Tutte le manifestazioni sotto nomi e forme sono espressioni relative di varie combinazioni di questi aspetti assoluti di Ātmā. Questi tre sono i principi alla base di tutto l’universo. Mantengono e controllano l’universo. Ogni singolo Karma (azione o atto fisico, verbale o mentale) di un essere scaturisce da ciascuno di questi tre in azione all’interno della limitata esistenza di quell’essere. Cioè, ogni azione è motivata dall’urgenza di esistere, esprimersi, gioire. Così, SAT–CHIT–ĀNANDA o Atma è il governatore di questo Universo. È il nucleo dell’universo manifestato, che pervade interamente attraverso tutte le manifestazioni (Bhagavadgītā 8.22, 9.4, ecc). Anche se Ātmā pervade tutti gli esseri, ha un centro di attività in ogni essere, che si chiama Hṛdaya o Hridaya (Cuore), come dice Bhagavadgītā 18.61. Questo Hridaya non è il cuore della circolazione del sangue, ma è il punto in cui si connettono i canali psichici (Praśna Upaniṣad 3.6, Muṇḍaka 2.2.6, Kaṭha Upaniṣad 6.16, Chāndogya Upaniṣad 8.6.6). Lo Hṛdaya è la “camera interna”, la “centralina” di bordo.

Gli esseri umani iniziano il loro viaggio in forma di singola cellula, composta di coscienza immateriale e sostanza materiale che contiene informazioni ereditarie. Con l’aiuto della coscienza queste informazioni vengono lette e tradotte in azioni il cui risultato è la formazione di un essere umano a tutti gli effetti. Un uomo adulto non è altro che un incremento di questa cella, effettuata assorbendo il nutrimento disponibile. A questo proposito nelle Upanishad si dice che gli esseri si manifestano grazie al cibo (Muṇḍaka Upaniṣad 1.1.8; Bhagavadgītā 3.14).

Il potere di Ātmā di esprimersi in molte forme è chiamato Māya o Prakṛti (Prakriti). Mediante questa prakrti Ātmā proietta esseri transitori (Śvetāśvatara Upaniṣad 4.10, Bhagavadgītā 9.8 e 9.10). Abbiamo già visto cosa succede scatenando gli opposti. Questa proiezione è piuttosto come gettare un sasso verso l’alto dalla superficie terrestre applicando una forza; il sasso raggiunge una certa altezza e poi ricade sulla terra. La terra e la pietra sono vincolati dalla forza di gravità. Allo stesso modo ogni essere viene proiettato da Maya e alla fine torna a lei, grazie alla forza di Ātmā. L’intero universo è quindi progettato e riassorbito periodicamente (Bhagavadgītā 8.18 e 8.19). Ātmā rimane nel suo stato puro all’inizio e alla fine. Per lo scopo della creazione, Ātmā invoca il suo potere di Māya (o Prakṛti) (Śvetāśvatara 4.10; 13.19 Bhagavadgītā). Quando Atma invoca il suo potere Maya/Prakrti, è conosciuto come Puruṣa (Purusha). La Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad dice (1.4.1) che all’inizio esisteva solo Ātmā sotto forma di Purusa. La creazione ha avuto inizio con la produzione di Rayi e Prāṇa (Praśna Upaniṣad 1.4). Rayi è semplicemente l’energia fisica, mentre Prana è la forza vitale. Da questi due è emerso l’intero cosmo degli esseri viventi e non viventi. È un processo di espansione che ad un certo punto si fermerà, seguito da un processo di contrazione che si concluderà con la scomparsa di tutta l’esistenza fisica.

Secondo la Praśna Upaniṣad (3.5, 3.6 e 3.7) Prāṇa opera nel corpo in cinque modi diversi, dividendosi in Capo Prāṇa (मुख्य प्राण), Apāna (अपान), Samāna (समान), Vyāna (व्यान) e Udāna (उदान). Questa è solo una divisione funzionale di Prana. Il Capo Prana fornisce energia vitale per l’intero sistema ed è specificamente responsabile dei sistemi connessi con occhi, orecchie, naso e bocca; Apana si prende cura della digestione, della minzione, della defecazione e dei sistemi affini; Samana lavora nella parte centrale del corpo ed ha il controllo della distribuzione dei nutrienti alle varie parti in modo equo; Vyana opera nel sistema nervoso promuovendo la trasmissione degli impulsi dal cervello o dal midollo spinale alle altre parti del corpo. Il sistema nervoso, sempre secondo la Praśna (3.6), è collegato al “cuore” (hrdaya), che è il centro della coscienza interiore. Si dice che ci siano centouno principali nervi connessi a “Hrdaya”. Ognuno di questi nervi ha settantadue lakh di nervi secondari (1 lakh = 100000), portando il numero totale di nervi a settantadue crore e settantadue lakh (1 crora = 1000000, per cui settantadue crore e settantadue lakh = 727200000). Udana opera in uno dei principali nervi che si proietta verso l’alto, chiamato Hitā, estendosi nel cervello, con i suoi 7200000 rami. Secondo la Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad (4.3.20) Hitā è molto sottile e fine come un capello spaccato in mille pezzi, è di colore blu, marrone, verde, rosso e bianco, ed è responsabile della percezione di varie tonalità. Udāna controlla e coordina le funzioni del “senso interno”, detto Antaḥkaraṇa (अन्तःकरण) e per questo, è lo strumento attraverso cui l’essere umano può sperimentare realtà non ordinarie, in accordo con il proprio livello di evoluzione spirituale e con il proprio Karma (Praśna 3.10).
Avendo il suo centro in Hṛdaya, la coscienza pervade tutto il corpo attraverso i canali psichici, con l’aiuto di Vyana. La coscienza fornisce l’energia per la cognizione e l’azione a tutti gli organi di percezione e di azione. Abbiamo cinque organi di senso (le orecchie, la pelle, gli occhi, il naso e la lingua), e cinque organi di azione (la bocca, i piedi, le mani, l’organo di escrezione e l’organo della procreazione).
Oltre a questi, gli esseri umani hanno quattro strumenti psichici, che insieme sono conosciuti come Antaḥkaraṇa o “senso interno”. I quattro componenti del senso interno sono Manas (मनस्), Buddhi (बुद्धि), Ahamkāra (अहम्कार) e Chitta (चित्त). Questa classificazione delle funzioni mentali ha lo scopo di una migliore e sistematica comprensione delle attività psichiche.

Chitta

Dallo stadio di prima cellula o zigote, ogni essere contiene informazioni ereditarie di base necessarie per lo sviluppo e la manutenzione del suo corpo. Tali informazioni costituiscono la sua base di conoscenza, su cui si innestano tutte le successive conoscenze acquisite dall’essere vivente nel corso della sua esistenza. L’insieme di tutte queste conoscenze, costituite soprattutto da ricordi consci, subconsci o inconsci, è Chitta. Chitta è il nocciolo dell’Antahkarana. È qui che Ātmā si riflette all’interno del corpo. Se Atma è il Sole, Chitta è la Luna. Atma è pura coscienza senza oggetto, mentre Chitta è la coscienza dei vari oggetti. L’Atma e il suo riflesso Chitta sono raffigurati nelle Upanishad come due uccelli seduti sullo stesso albero e strettamente associati di cui uno mangia frutti deliziosi e l’altro semplicemente osserva senza mangiare nulla (Muṇḍaka 3.1.1 e 3.1.2, Śvetāśvatara 4.6 e 4.7). Chitta è il deposito, la banca dati di tutta la conoscenza che l’essere umano acquisisce.

Ahamkāra

Ahamkāra è l’illusorio “Io”, il falso Ego all’interno di ognuno di noi; è la nozione di essere Io. È la percezione che abbiamo di noi stessi; Ahamkara è il fruitore di tutte le esperienze, e gode di tutte le azioni e di tutti i sentimenti. È su istanza di Ahamkāra che tutte le azioni vengono intraprese.

Buddhi

Buddhi è l’intelletto ed è l’agente del ragionamento. Essa interviene nelle attività di Manas, su richiesta di Ahamkāra, apportando la ragione e la logica nelle attività mentali. Grazie a tale intervento, Ahamkāra ottiene il controllo degli organi di senso e degli organi motori su cui Manas agisce come moderatore (Kaṭha Upaniṣad 3.3 e 3.4 e Bhagavadgītā 3.42). Nell’esercizio del suo potere di ragionare su istanza di Ahamkāra, Buddhi controlla l’accesso alle informazioni da Chitta che Manas fa allo scopo di costruire percezioni valide a partire dai segnali sensoriali.

Manas

Manas, comunemente tradotto come mente, è quella parte dell’Antaḥkaraṇa che agisce come regolatore e coordinatore delle attività degli organi di senso e degli organi motori. Manas riceve segnali dai sensi, li elabora con riferimento alla riserva di informazioni già disponibili nel Chitta e costruisce così percezioni valide. Questo è il modo in cui funzionano la vista, l’udito, il gusto, l’olfatto, il tatto, l’emozione.

La nostra esperienza non è limitata alle impressioni prime veicolate dai sensi; una sensazione tattile proveniente da un altro essere umano può dare un’esperienza di amore o, al contrario, di avversione. Il dato sensoriale può trasmettere solo il tocco, ma noi sperimentiamo qualcosa di più di questo: cogliamo anche il dato emozionale con il coinvolgimento di Chitta e Buddhi, ossia di tutto il senso interno. La Chhāndogya Upaniṣad dice che si conosce solo attraverso la riflessione (7.18.1).

Al processo di percezione e cognizione fa seguito quello superiore di acquisizione di conoscenza. Come lo facciamo? Acquisire conoscenza è un processo continuo che parte da una base su cui ogni informazione o idea è coerentemente impilata, un po’ come i mattoni nella costruzione di un edificio. La base di partenza è l’informazione ereditaria contenuta in ogni cellula del nostro corpo che otteniamo dai genitori. Su questa base generale poniamo una fondazione separata per ogni categoria di sapere e avviamo il processo senza fine di erigere su di essa l’edificio-conoscenza particolare per quella categoria, modificandone ed espandendone continuamente la struttura con nuove informazioni e idee.
L’intero processo viene eseguito come segue:

  • I sensi raccolgono i segnali dagli oggetti esterni.
  • Questi sono solo segnali grezzi che non trasportano alcun significato. Ad esempio, gli occhi operano come una lente e formano un’immagine invertita dell’oggetto a cui sono diretti. Gli occhi non sono in grado di leggere questa immagine.
  • Tale compito è svolto da Manas, che è la facoltà interna direttamente collegata ai sensi.
    Ricevuti i segnali sensoriali, Manas esegue una scansione su Chitta per ricercare e confrontare informazioni relative ai segnali convogliati, quindi percepisce l’oggetto e con tale percezione Manas costruisce nuove informazioni e idee valide che vanno a modificare l’edificio-conoscenza già presente in Chitta, ne costruisce uno nuovo nel caso in cui non esista o classifica la percezione come inutilizzabile o estranea.
  • Su consenso di Ahamkāra, Buddhi supervisiona queste operazioni con il suo potere di ragionamento.

Tutte queste operazioni sono alimentate dall’energia della cognizione e azione fornita dalla coscienza, cognizione e azione che viene utilizzata dagli organi interessati con l’aiuto di Vyāna e Udāna. È così che acquisiamo conoscenza e allarghiamo le nostre conoscenze di base nel Chitta. Ciò significa che, nel processo di acquisire conoscenza ciò che effettivamente accade non è un mero assorbimento come tale dagli agenti esterni, ma una costruzione interna compatibile con la fase corrente di costruzione degli edifici-conoscenze in Chitta.
Si tratta di un processo per tappe. È per questo che non possiamo cogliere tutto ciò per cui non esiste un corrispettivo nel nostro Chitta.

Supponiamo che vediamo un fiore. Quando gli occhi formano la sua immagine, i segnali in questione sono raccolti da Manas che fa una ricerca in Chitta per trovare corrispondenti informazioni riguardanti forma, colore, odore e altre caratteristiche e, sulla base di tali informazioni, riconosce che è un fiore. Su ulteriore ricerca, può risultare che questo fiore è più grande rispetto a qualsiasi altro fiore già osservato. Una nuova idea è così formata e aggiunta come nuovo record nel data base di Chitta nella categoria “fiori”. Manas può anche costruire un’altra idea che i fiori possano essere grandi come questo. Pertanto, molte nuove idee possono formarsi alla percezione di questo particolare fiore. Nel Chitta, l’edificio-conoscenza in materia di fiori è di conseguenza modificato.
Se l’osservatore è un botanico egli può riconoscere varie parti del fiore, vale a dire calice, corolla, androceo e gineceo e studiare le loro caratteristiche. Il suo edificio-conoscenza riguardante i fiori sarebbe quindi modificato sulla base delle nuove informazioni generate da Manas.
Se l’osservatore non ha mai visto fiori in precedenza, uno nuovo edificio-conoscenza relativo ai fiori è definito nel suo Chitta, che contiene informazioni su forma, colore, profumo e altre qualità che riconosce in esso, sulla base delle informazioni già disponibile nel suo Chitta.

Da questa spiegazione è evidente che la conoscenza che un essere umano acquisisce è sostanzialmente relativa piuttosto che assoluta, vale a dire, è relativa al livello preesistente della conoscenza presente in lui.
C’è grande abbondanza e varietà riguardo la consapevolezza che può essere acquisita di qualsiasi oggetto in natura. È quindi naturale che la conoscenza che si acquisisce è limitata dallo stato corrente della conoscenza esistente nel proprio Chitta. L’attività di Buddhi è inoltre limitata da tale stato, in quanto Buddhi può sorvegliare solo il processo di riconoscimento basato sui pezzi a cui si accede dal deposito esistente in Chitta. Buddhi, con la forza del ragionamento, definisce l’efficienza con cui il processo di classificazione è compiuto. Pertanto, l’acquisizione di conoscenze dipende dal livello di conoscenza esistente all’interno e anche dalla chiarezza di Buddhi. Questo spiega la differenza di conoscenza o che diverse persone possono ottenere dallo stesso oggetto o insieme di fatti.

Tutti i limiti di una persona sono determinati dalla relativa predominanza dei tre Guna. I Guna scaturiscono da Prakṛti in cui esistono originariamente in condizioni di equilibrio e quindi non osservabili. Essi sono in numero di tre e sono il contenuto qualitativo della prakrti. I tre Guna sono Sattva, Rajas e Tamas. Sattva è illuminante in natura e ispira un desiderio di gioia e di conoscenza; Rajas stimola l’azione poiché la sua natura è il desiderio e l’attaccamento; Tamas è ottenebrante in natura e favorisce inerzia, pigrizia e indolenza (Bhagavadgītā 14,6, 14,7 e 14,8). Lo squilibrio tra i tre Guna è inerente al mondo manifestato. La loro proporzione relativa rimane praticamente la stessa in ogni essere durante la sua vita, e la natura del pensiero motivato dal Ahamkara in un particolare momento determina quale dei tre Guna prende il controllo. I processi di pensiero e il Guna predominante si influenzano reciprocamente in un circolo vizioso. Questo circolo vizioso è rotto quando in Ahamkara e quindi in Chitta sorge la profonda convinzione che è necessario trascendere i Guna.
Il Guna predominante in una persona determina il suo carattere, che a sua volta, determina il tipo di conoscenza che quella persona tende ad acquisire. L’acquisizione della conoscenza è quindi soggettiva oltre che relativa.

Il pensiero è un processo in cui Manas cerca in Chitta informazioni riguardo un soggetto in esame e tenta di arrivare a idee valide e possibilità di azione derivanti da tali informazioni, aiutato dal potere di raziocinio di Buddhi. Il processo del pensiero può essere descritto come un tentativo di risolvere un puzzle. Il ragionamento è un processo attraverso cui si arriva ad una conclusione logica in grado di spiegare esaustivamente i dati forniti dai sensi. Può accadere a volte che Manas, senza il coinvolgimento di Buddhi, acceda alle informazioni da Chitta e crei da solo delle costruzioni mentali, che però, a causa della mancanza di ragionamento, rimangono allo stato di immaginazioni e proiezioni che noi chiamiamo sogni e fantasticherie. Nel momento in cui ci si addormenta gli organi di senso sono in uno stato di arresto e Manas costruisce false percezioni senza alcun segnale proveniente dall’esterno, esclusivamente utilizzando le informazioni accessibili da Chitta. Tali informazioni sono quelle cui ha avuto accesso recentemente o nella stessa giornata. Quindi i sogni sono la creazione di Manas senza il coinvolgimento di Buddhi e in assenza di input dagli organi di senso. La Praśna Upaniṣad dice che quando tutti gli organi di senso si fondono in Manas e l’essere umano dorme, fruisce di sogni in cui rivede, ascolta e fruisce ciò che ha visto, ascoltato e fruito nel precedente stato di veglia (4.2 e 4.5).

Tutte le percezioni sono materie prime per la costruzione di informazioni o idee valide, che a loro volta sono elementi della conoscenza. Tutte le percezioni sono prima registrate in Chitta e poi utilizzate per la costruzione di informazioni o idee. Non appena la costruzione di una idea è compiuta, l’esistenza individuale di una percezione svanisce e diventa molto difficile recuperarla come tale successivamente, allo stesso modo in cui i singoli mattoni in una costruzione vengono ignorati dopo aver percepito l’edificio nel suo complesso. Se qualcuno è definito una “brava persona”, è perché un certo numero di percezioni, registrate in varie occasioni, hanno portato ad una tale idea. A tempo debito può accadere che tali percezioni individuali svaniscano e solo l’idea di “brava persona” rimane.

La propria personalità è l’essenza cumulativa del contenuto del proprio Chitta. Qualunque cosa in cui ci si imbatte o di cui si fa esperienza nella vita lascia una corrispondente traccia in Chitta; a tempo debito, tali percezioni possono cessare di esistere in quanto tali, dal momento che vengono assorbite in qualche idea complessa, vecchia o nuova, modificandola, confermandola o cancellandola. Non ha alcun fondamento la tesi secondo cui un film o una lettura non possa influenzare qualcuno al punto da indurlo a fare o non fare qualcosa. Ogni esperienza di una persona contribuisce all’accumulo e alla rielaborazione di idee complesse nel suo Chitta. Un bambino che è cresciuto in un ambiente domestico in cui il consumo di alcolici da parte dei membri adulti è parte della vita quotidiana non mostra alcuna avversione per il bere, ma quando quel bambino ha la possibilità, per esempio, di guardare un film o leggere una storia che descriva gli effetti negativi del bere, un’idea negativa riguardo al bere viene registrata nel suo Chitta. Ciò può essere confermato ulteriormente quando gli capita di imbattersi in materiali pubblicitari o di propaganda. L’idea che si fa strada in lui sarà che il consumo di alcolici è dannoso per la salute. Allo stesso modo, ogni esperienza contribuisce positivamente o negativamente al proprio bagaglio di idee o conoscenze. Niente è privo di impatto. Potremmo non avere una nozione distinta o dettagliata di tutti tali impatti a livello conscio ma gli impatti sono sicuramente lì, nel livello subconscio o inconscio di Chitta. Tutte le nostre idee sono versioni che emergono da alterazioni continue causate da tali impatti. Così è per la nostra condotta, il nostro carattere e la nostra personalità.

Dalle idee nascono le decisioni. Quando una decisione viene stabilita nel nostro Chitta, il suo impulso è trasmesso a Prāṇa (Praśna 3.10), di conseguenza si verificano cambiamenti nel nostro respiro, sguardo, udito e salivazione. Dal momento che Udāna opera in stretta collaborazione con Prāṇa, anch’esso agisce di conseguenza. Questi due (Prāṇa e Udāna), insieme alla coscienza, ci spingono ad agire. Più forte è la determinazione, maggiore è l’impulso. L’intensità e la concentrazione della nostra determinazione è ciò che noi chiamiamo forza di volontà.
Nel corpo, la coscienza opera in tre modalità:

  • Jagrat (जाग्रत्) o veglia
  • Svapna (स्वप्न) o sogno
  • Suṣupti (सुषुप्ति) o sonno profondo.
  • Nella modalità Jagrat, tutte le quattro componenti di Antaḥkaraṇa, gli organi di senso e gli organi motori sono attivi e sono in grado di esprimere la luce della coscienza alla massima potenza consentita dalle proprie condizioni fisiche (Māṇḍūkya Upaniṣad 3 e Praśna Upaniṣad 4.2 e 4.5). In questo stato Prajña (प्रज्ञ), che è il potere dell’intelligenza, acquisisce piena operatività sia nei riguardi della realtà soggettiva sia rispetto alla realtà esterna.
  • Svapna è lo stato di transizione da Jagrat a Sushupti, in cui tutte le funzioni volontarie di Buddhi, Manas, degli organi di senso e degli organi motori si placano. In questa modalità, la luce della coscienza non è pienamente espressa. I sogni si presentano nello stato di Svapna attraverso le attività involontarie di Manas (Māṇḍūkya Upaniṣad 4). In questo stato Prajña è operativo solo sulla realtà soggettiva.
  • Nella modalità Suṣupti, anche le attività involontarie di Manas vengono arrestate e come risultato la radianza della coscienza il grado di espressione minimo. Pragya è contenuto all’interno Chitta. Di conseguenza, nulla è percepito sia internamente che esternamente. Il contenuto di Chitta viene così ridotto a Pragya, tutte le acquisizioni in esso essendo state sospese. Ahamkāra, che è il mero senso di ‘IO’, rimane, ma la sua presa viene meno; in altre parole, tutto ciò che è ‘mio’ svanisce. Questo è lo stato di sonno profondo (Māṇḍūkya Upaniṣad 5).
    Solo i prana sono attivi in questo stato (Praśna Upaniṣad 4.3). Fanno tutto ciò che è necessario per sostenere la vita, dal momento che sono i sostenitori della vita designate come tali dalla triade di Esistenza-Coscienza-Beatitudine, che è Ātmā (Praśna Upaniṣad 1.5, 2.4).

Esiste un quarto stato di coscienza, lo stato denominato Turīya (तुरीय),che trascende i tre precedenti stati di veglia, sonno profondo e sogno, e in cui vi è solo la coscienza pura; anche Prajña si dissolve in quella pura coscienza eterna, onnipervadente e indescrivibile. Tutti i fenomeni cessano in esso (Māṇḍūkya Upaniṣad 7).
Così, la coscienza non è una proprietà della mente; ma è l’energia con cui funziona la mente. Non c’è mente senza coscienza. La classificazione freudiana della mente in livelli, come conscio, preconscio e inconscio, appare quindi infondata. Ciò che Freud chiama livelli preconscio e inconscio della mente indicano solo i contenuti di Chitta, cui Manas accede nell’esecuzione delle sue funzioni. Manas è l’equivalente freudiano della mente cosciente. Chitta è il deposito di tutte le informazioni e le conoscenze che un essere umano possiede, e tali informazioni conoscenze costituiscono la base fondamentale di tutte le sue attività fisiche e psicologiche. Freud attribuisce questa funzione di Chitta a ciò che egli chiama mente inconscia. Non è possibile ricordare in modo cosciente ognuna delle proprie esperienze in quanto tale, dal momento che tali esperienze individuali sono fuse a formare idee o informazioni complesse, opportunamente modificate. Inoltre, Freud raggruppa tutte le funzioni della psiche in una unica funzione e le attribuisce alla mente, cosa che crea confusione portando ad una differenziazione e ad una conseguente nomenclatura fuorviante.
Ātmā è ciò che regge l’universo intero che pervade tutti gli esseri. Dal momento che la sua essenza è “SAT–CHIT–ĀNANDA” o “Esistenza-Coscienza-Beatitudine”, la forza motivante di tutti gli esseri è l’urgenza di esistere, di conoscere, di esprimersi e di ricavarne gioia. A causa del velo di ignoranza steso dai Guna di Prakriti, gli esseri non riconoscono l’Atma che dimora all’interno (Bhagavadgītā 7.13), ma percepiscono sé stessi come semplici esseri fisici e si sforzano di garantire l’esistenza, l’espressione e la gioia per la propria entità fisica.

I neonati presentano una espressione innocente di questa verità, innocente perché non sanno nulla del mondo circostante e delle sue pressioni e contraccolpi. Man mano che crescono, essi acquisiscono conoscenza della durezza della vita e mettono in atto adattamenti, miglioramenti e compromessi, ma sempre con l’obiettivo di raggiungere esistenza perpetua, espressione sfrenata e beatitudine eterna per il proprio corpo fisico, dimenticando la propria totalità. Il punto più alto della conoscenza che un essere umano può acquisire è la consapevolezza che la propria esistenza non ha senso senza la considerazione dell’esistenza del tutto e quindi si deve lottare in primo luogo per l’esistenza, l’espressione e la gioia del tutto. Questo è quello che viene chiamato il Dharma; il significato del Dharma è “ciò che assicura l’esistenza (dell’universo nella sua totalità)” o, in altre parole, ciò che è conforme al principio di Sat-Chit-Ananda. Questo principio assoluto e puro è la forza trainante per tutti gli esseri di tutti i tempi e, quindi, ogni atto (Karma) che è conforme con esso è eterna virtù o Sanātana Dharma. Tutti i dettami morali di tutti i tempi e di tutte le civiltà sono sempre germogliati di questo principio eterno, limitati solo dai livelli di evoluzione di una determinata società nel corso di un determinato periodo storico.
L’obiettivo finale degli esseri è quello di fondersi con questo principio, cioè, Ātmā, spezzando tutte le schiavitù fisiche, perché la triade di “Esistenza-Coscienza-Beatitudine” è la forza trainante in tutti gli esseri. Questo obiettivo può essere raggiunto dagli esseri umani attraverso la conoscenza suprema e la pratica della austerità, mentre si è in vita, così dicono le Upanishad (Kaṭha 3.8, 4.15; Muṇḍaka 3.1.3, 3.1.9, 3.2.8; Śvetāśvatara 5.14). Lo stato così raggiunto è assoluto e immutabile, in cui solo pura esistenza, coscienza e beatitudine, prive di attributi fisici, esistono (Bhagavadgītā 15.5, 15.6). Questo stato è già realizzato in ognuno di noi per sempre, ma non lo riconosciamo quando siamo orientati verso l’esterno a causa di un livello di conoscenza inadeguato (Bhagavadgītā 7.27).

Questo articolo è una libera traduzione dall’inglese dell’articolo “Mind, Thought and Consciousness – An Upanishadic Hypothesis” pubblicato sul sito indiadivine.org

Link: http://www.indiadivine.org/mind-thought-consciousness-upanishadic-hypothesis/